
Dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri, i menhir conosciuti e dunque censiti in Sardegna sono oltre 700 e si trovano raggruppati in circa 240 siti. Giorgia Rajosa (o sa Perda ‘e Taleri) – nel territorio di Noragugume – è uno fra i più affascinanti, ha le sembianze di una donna stilizzata e si erge imponente e solitario al centro di una immensa distesa pianeggiante poco distante dalla riva del fiume Tirso. Fu il generale geologo Alberto Lamarmora a segnalarlo ufficialmente durante i suoi viaggi in giro per monti e miniere nel suo libro dal titolo “Voyage en Sardaigne”.
La leggenda popolare narra di una ragazza (Giorgia Rajosa) intenta a camminare con una cesta piena di viveri sul capo da portare al marito intento a lavorare nei campi. Durante il tragitto incontra un mendicante che le chiede da mangiare. Lei si nega e tira dritto, rispondendo di non avere cibo ma pietre e diventando così oggetto della maledizione dell’uomo: “Se è vero che nella cesta hai pietre e non cibo – disse il mendicante rivolgendosi alla fanciulla – che tu possa trasformarti in pietra”.
Quasi una mano protesa verso le stelle, come gli altri menhir quello di Noragugume si colloca tra il Neolitico medio-recente e l’Eneolitico evoluto e potrebbe essere associato a contesti funerari o legati alla fecondità. Fra le tesi più accreditate degli studiosi si suppone che i menhir potessero essere simbolo di una forza soprannaturale e di un essere divino. Ma gli archeologi (fra i primi Giovanni Lilliu) non escludono la loro associazione con la Dea Madre, in un ruolo di benedizione nei confronti del raccolto, o che venissero elevati in corrispondenza di villaggi per segnalare luoghi sacri come le tombe. Questo bellissimo menhir, costruito con una forma vagamente ogivale, raggiunge l’altezza di 4,30 metri, databile appunto fra il 3300 e il 2500 a.C.